Scrivo questo testo, per testimoniare come l’esempio di vita di Vittorio
Arrigoni abbia rafforzato in me certe radicali scelte esistenziali.
Prendetela perciò come une testimonianza che è partita dall’esempio di altri
per trovare la forza per farsi autentica esperienza personale: è vero! Fare del
bene apporta amore nella propria vita e in quella degli altri; ed inoltre una
felicità che non sia condivisa, comunitaria e “politica”, non è felicità, ma è solo
piacere personale e perciò fine a se stesso, chiuso e murato dentro, senza
neanche una finestra per scorgere la speranza in cielo, e le stelle della felicità
altrui. Questo mi ha insegnato Vittorio.
In Italia mi sono occupato di insegnamento per vari anni. Ho cercato per
quanto possibile di insegnare agli alunni non solo le mie materie di indirizzo,
ma anche un certo modo di porsi nei confronti della vita, dove l’ascolto e
l’attenzione all’altro fossero realtà imprescindibili, dove la realtà quotidiana,
con tutta la sua ricchezza e varietà, fosse più importante di tante teorie
astratte e lontane dalla vita di tutti i giorni. Ma non mi bastava, sentivo troppi
compromessi posticci, troppe costrizioni e dimensioni alienanti, soprattutto
nel rapporto coi colleghi e con la burocrazia scolastica.
Ho deciso di prendermi un periodo sabbatico allora, per aprirmi ad esperienza
più dirette ed essenziali.
Non fare carriera, ma aiutare chi una carriera non la farà mai perché privo di
possibilità e risorse; sentire che tutti i miei diritti sono privilegi in troppe parti
del mondo, e allora scendere dal piedistallo crepuscolare dell’ego e mettersi al
servizio di chi questi diritti li sogna nelle notti più buie, in segreto, per arrivare
insieme ad immaginare l’alba di una nuova umanità che arriverà a compiersi. E
ne sono convinto.
Ora mi trovo nella zona più a sud del Senegal, in Casamance, e là, in un
villaggio al confine con la Guinea-Bissau, delle suore cattoliche mi hanno
accolto nel loro orfanotrofio con 36 bambini. Ed è un’esperienza ricchissima
umanamente parlando, carica di candore e dolore. E nell’essere circondato dai
bimbi dell’orfanotrofio, letteralmente (scrivo dal balconcino che dà sul cortile,
al primo piano, e sono riempito dalle urla piene di enfasi per i giochi fatti in
cortile da molti di loro) non posso che usare questi due termini: candore e
dolore. Candore per l’innocenza straordinaria di tutti loro, per il loro essere
esagerati e bellissimi in ciò, per il loro donarsi e per le loro semplici richieste;
dolore per la mancanza di mezzi, per le loro malattie (tanti pidocchi, vermi e
dermatiti), per la completa mancanza di una dimensione affettiva e di ascolto
attorno a me, da parte delle suore e degli altri adulti che hanno con loro a che
fare.
L’esempio di Vittorio è stata una stella per questa scelta: il suo restare accanto
agli ultimi e dare loro una voce, dare loro la possibilità di poter arrivare al
cuore del più vasto numero di persone, raccontando davvero ciò che accadeva,
a partire dal basso, con gli occhi pieni di polvere e di tragedia, ma sempre
aperti per donare, per sognare, per capire meglio. In Palestina ed ovunque.
Troppo poco si conosce del resto del mondo, ed è fondamentale invece
valorizzare quelle esperienze che consentono una conoscenza reciproca, a
partire dalle piccole realtà quotidiane; quelle che passano sotto silenzio perché
così “banali”, sono dettagli che consentono ad un occhio attento di “leggere” i
segni dei tempi, di essere profetici. E di profeti dell’umano abbiamo estremo
bisogno oggi.
Ora sono qua, a riempire il mio cuore di tante piccole storie, di tante piccole
vite, di realtà che sono poco note in Italia e nel resto d’Europa. Mi ritrovo ad
insegnare e ad essere segnato, a curare e ad essere guarito. È un’esperienza
piena di difficoltà, con pochi mezzi e tanti problemi urgenti, eppure vi è in
tutto questo una gioia straordinaria; è un periodo di trasformazione interiore
come poche volte era accaduto nella mia vita.
E mi viene da piangere, e mi si riempie il cuore di vero orrore al pensare che
tanti morti disperati nel Mediterraneo, hanno poco più dell’età di questi
orfani, che la luce di occhi così simili, così limpidi ed umani, si stiano
spegnendo. So che molti di noi sono addolorati di ciò, ma si sentono anche
impotenti. Ecco trasformate questa impotenza in altro, contrastatela,
credendo che ognuno di noi possa fare la propria piccola, ma fondamentale,
parte. Per lasciare un segno a questa vita che passa così velocemente, per
poter trovare una gioia illimpidita da tanti ultimi, che con la loro verità
bruciante ed evidente, possano scuoterci dal torpore e ritrovare l’entusiasmo
perduto, l’entusiasmo nel credere profondamente al fatto che ogni essere
umano porta in sé una scintilla di dignità infinita. E allora apriamo le finestre,
apriamo le nostre porte, lasciamoci riempire dal vento del cambiamento.
Restiamo umani allora per questi tempi strani, e profetici per i tempi che
avranno da venire.